C’è un istante – minuscolo, quasi invisibile – in cui capisci che stai per cadere.
Non sei ancora a terra, ma non sei più in equilibrio.
È un limbo strano: lucido, inevitabile. Un momento straordinariamente dilatato.
Per me è stato il suono del cerchione che gratta l’asfalto.
Un suono che non dovrebbe esserci quando sei in bici, ma che quando lo senti comprendi tutto all’istante.
Sai che la gomma è sgonfia e ha perso attrito, che la bici non la controlli più, che la curva non perdona.
Poi succede: un tonfo pieno, il corpo che rotola, la pelle che brucia, la bici che scivola da un’altra parte come se non volesse più saperne di te.
E in quell’attimo, mentre senti il mondo strapparti via dalla distrazione, la prima cosa che nasce non è il dolore.
È una domanda. Anzi due.
Le due domande che ti attraversano dopo ogni caduta
Ogni volta che inciampi – in bici sulla strada, in un progetto, in una relazione, nella tua stessa testa – arrivano sempre due domande.
Sono interiori e spesso inconsce.
E tu, volente o nolente, devi farci i conti.
1) “Perché proprio a me?”
La conosci. E’ la più comune.
È quella che sussurri quando ti senti preso di mira, quando sembra che l’universo remi contro di te.
È più un sospiro lamentoso che una domanda.
È il modo più rapido per sentirti piccolo, impotente, in balia di qualcosa che non controlli.
Se ci fai attenzione, non arriva solo nei momenti importanti:
arriva quando ti cade il caffè, quando ti becchi un rosso, quando perdi un treno per trenta secondi.
È un’abitudine.
E le abitudini, quando sono piccole, sanno sembrare innocue.
2) “Cosa posso farne?”
La seconda è diversa.
Meno spontanea, più ruvida, più vera.
È la domanda di chi, pur dolorante, vuole capire come trasformare una botta in un centimetro di lucidità in più.
È la domanda che consiglio di scegliere.
Dal “Perché?” al “Cosa posso farne?”
E da lì sono nate le lezioni – non perché fossi pronto, ma perché la caduta mi ci ha costretto.
LEZIONE N° 1 – Auto-programmare non è “fare il bravo”, è scegliere chi sei
La mattina della caduta in bici era iniziata storta e io non l’avevo voluto vedere.
Il caffè rovesciato.
La corsa inutile perché avevo letto male l’orologio, credendo di essere in ritardo.
La sensazione di essere “connesso a metà”, come quando il telefono ha una tacca e fa finta di prendere.
Non avevo scelto in che stato d’animo volevo stare.
E quando non scegli tu, sceglie il caso.
Il caso non è un buon coach.
Auto-programmarsi non significa imporsi di essere felice o motivato.
Significa fermarti un attimo, respirare, e decidere da quale parte vuoi guardare la giornata.
Che qualità di attenzione vuoi portare.
Che tipo di presenza vuoi abitare.
Perché quando non lo fai, la giornata te ne propone una lei.
E spesso non è quella giusta.
LEZIONE N° 2 – Prevedi l’imprevedibile (non per evitarlo, ma per accoglierlo da sveglio)
L’imprevisto non arriva mai dal nulla.
Arriva da una somma di piccoli segnali che non hai ascoltato.
Il rumore del cerchione in una buca,, un gesto fuori posto, una micro-distrazione che “non sembra niente”, ma è già qualcosa.
La vita non ti avvisa con le sirene spiegate: ti avvisa con dettagli che trascuri.
Prevedere l’imprevedibile significa vivere in agguato (come sosteneva Castaneda).
Significa sviluppare un’attenzione vigile sul proprio stato.
Una presenza morbida, non ansiosa.
Il tipo di presenza che accoglie ciò che accade mentre accade, e non mezz’ora dopo, quando è già tardi.
Non serve diventare infallibili.
Serve diventare permeabili. Allenati all’imprevedibile.
Perché quando l’imprevedibile arriva – e arriva sempre, con le sue intenzioni non dichiarate – se sei presente puoi ancora fare una cosa:
cadere meglio.
Con meno rigidità.
Con più lucidità.
Con più memoria per la prossima volta.
La verità è che non cadi mai per caso
Ogni caduta lascia un segno, sì, ma lascia anche un’indicazione.
Ti mostra un pezzo di te che non stavi osservando e ora comprendi meglio.
Una distrazione che credevi normale.
Un automatismo che ti sembrava innocuo.
Una parte di te che stava andando avanti senza la tua presenza.
Non cadi per imparare lezioni – sarebbe romantico e un po’ scontato, ma non del tutto vero.
Cadi perché, a volte, è l’unico modo che hai per rallentare abbastanza da vedere chi sei.
E allora ti rialzi.
Con qualche graffio, certo.
Ma anche con un sentire più pulito.
Una domanda migliore.
E quel minuscolo scarto di consapevolezza che, un giorno, farà la differenza prima ancora che la ruota tocchi l’asfalto nel modo sbagliato.
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