Il coaching da fast food è pieno di frasi fatte. Belle da postare, meno da vivere.
La maggior parte di questi slogan ha un effetto collaterale: semplificano la complessità, ignorano l’inconscio e spesso scavalcano l’anima.
Ma soprattutto attivano bias cognitivi, non tenendo in debita considerazione il funzionamento del cervello.
In questo post li analizziamo, uno per uno in modo da smontarli e renderli digeribili anche dalla sfera cognitiva e non solo da quella motivazionale.
1. Niente è impossibile
→ Bias della Superiorità illusoria o effetto Dunning-Kruger
Il messaggio sembra potente e può diventare anche molto pericoloso se si muove solo nella dimensione mentale.
“Tutto è possibile” suona bene, finché non ti accorgi che il corpo, il tempo, la realtà hanno i loro ritmi.
Facciamocene una ragione: il cervello tende a farci credere di essere più intelligenti e capaci di quello che pensiamo.
Tendiamo a sopravvalutare le nostre capacità e a sminuire quelle degli altri. Teniamo conto di ciò.
Dentro: Più che credere che tutto sia possibile, possiamo allenarci a vedere ciò che è possibile ora per noi, ora, con le risorse che abbiamo a disposizione.
A volte è molto di più di quanto immaginiamo, ma è sempre radicato nel presente, non nella fantasia e soprattutto sganciato dal qualsivoglia forma di giudizio. La frustrazione è la trappola nella quale rischiamo di cadere se prendiamo per vera questa affermazione. Contrastare la tendenza al giudizio e attivare la presenza, sono gli antidoti per non caderci.
2. Se vuoi, puoi / Volere è potere
→ Bias: controllo illusorio
È l’equivalente motivazionale del “basta volerlo”. Il problema è che no, non basta!
Sarebbe bello bastasse.
La volontà è un punto di partenza e anche una risorsa esauribile, e senza radici nella competenza. Si spegne alla prima frustrazione.
Dentro: Volere è l’inizio. Poi occorre un programma, un percorso che coinvolga il corpo, il cuore, le emozioni. Altrimenti resta una tensione mentale. Il potere nasce quando la volontà è allineata con Visione, missione e scopo, non solo con identità, ruolo e ambizione che attengono alla sfera dell’ego e della personalità.
Certo è che per cominciare un cammino, il punto di partenza è volerlo. Il passo successivo è fare del nostro meglio abbandonando la esclusiva tensione al risultato, affezionandosi al processo con un graduale distacco dall’obiettivo.
Scritto da un coach può apparire quantomeno strano, ma noi non abbiamo il controllo assoluto.
Per questo è meglio diffidare di chi garantisce al 100% l’ottenimento del risultato.
3. “Never give up” / Non arrendersi mai
→ Bias: perseveranza cieca o dei costi irrecuperabili (sunk cost fallacy)
Andare avanti a ogni costo è una trappola nella quale possiamo cadere a causa di questo bias. Si persevera per non buttare via tutto il tempo o il denaro speso per arrivare fino a dove siamo, anche se ci rendiamo conto che rinunciare è un’idea migliore. A volte sono l’orgoglio e la paura che si impediscono di ammettere che quella strada non è (più) la nostra, oppure il semplice conto economico.
Dentro: Il vero coraggio, spesso, si esprime nel “mollare la presa”. Lasciare andare un’idea di sé, una relazione, un obiettivo. Solo così si può aprire lo spazio per altro.
Prima di riempire l’anfora di acqua fresca devi gettare quella sporca.
A volte mollare, lasciare andare, eliminare gli attaccamenti è la cosa giusta da fare.
Una domanda utile:
“Questa scelta mi avvicina alla persona che voglio diventare?”
Leggete l’utilissimo libro di Set Godin: Il vicolo Cieco, vi aiuterà a capire quando arrendersi è più intelligente di non mollare mai!
4. Devi crederci
→ Bias: doverizzazione (fallacia morale)
Appena c’è un “devi”, qualcosa dentro si contrae. Spinge a forzare, a reprimere il dubbio, a negare la realtà.
Dentro: Le credenze sane non si impongono. Nascono da un sentire profondo, non da uno slogan.
La fede in sé si coltiva, non si pretende, arriva dopo percorsi più o meno lunghi. E’ importante sia collegata con qualcosa di più alto, al di sopra di noi, degli altri, del mondo.
Il coaching può aiutare a cambiare le convinzioni e a scegliere quelle più adatte a noi, aiutandoci a credere in qualcosa!
5. Conosci te stesso
→ Bias: illusione di introspezione
Tutti pensano di conoscersi, pochi sanno davvero farlo. Perché “conoscersi” richiede strumenti, linguaggio, spazi e tanto, tanto lavoro su di se’. Cadiamo in questo fallace modo di pensare quando eleviamo all’altare della verità le nostre esperienze, i nostri sentimenti, pensando siano universali.
Dentro: Conoscersi non è capirsi con la mente. È riconoscere i propri schemi, le proprie ombre, la propria luce. Si tratta soprattutto di accogliere la propria Vulnerabilità, imparando contemporaneamente ad accogliere quella degli altri
Vuoi iniziare? Parti da qui rispondendo a queste semplici domande:
- Chi sono?
- Dove sto andando?
- Cosa voglio vedere di più nel mondo?
- Cosa posso fare per contribuire al mondo al quale aspiro?
- Per chi o per cosa, che vada oltre di me, faccio quello che faccio?
6. Il cambiamento è sempre auspicabile
→ Bias: novità = miglioramento (bias della novità)
Cambiare per cambiare è solo un modo per scappare.
Dentro: Il cambiamento non è sempre un bene. È solo inevitabile. La domanda vera è:
“Il cambiamento: lo sto guidando o lo sto subendo?”
Guidare il cambiamento non significa controllarlo. Significa accoglierlo come parte del processo e averne piena consapevolezza in ogni istante. Coltivare il pensiero critico rispetto alle nuove esperienze possibili può essere utile per non cadere nella trappola del rinnovare le cose a tutti costi, anche quando stanno andando bene. Specialmente quando tutto è perfetto.
7. Insegui i tuoi obiettivi
→ Bias: iperfocalizzazione sul risultato (goal fixation)
Correre dietro agli obiettivi senza visione è come scalare una montagna, arrivare in cima, e scoprire che è quella sbagliata.
La retorica dell’obiettivo ad ogni costo ci fa perdere di vista il processo che spesso è molto, molto più importante del risultato.
Il punto non è fare le cose bene (per raggiungere l’obiettivo) ma fare le cose giuste. Questa è una prerogativa dei Leader.
Dentro: Un obiettivo è sano se è ecologico. Se non sacrifica pezzi di te. Se non annienta ciò che c’era di buono. Se non distrugge relazioni, corpo, gioia di vivere.
È utile chiedersi:
“A cosa sto rinunciando per ottenere questo?”
8. Agisci
→ Bias: azione reattiva (action bias)
Fare qualcosa per non stare fermi è una reazione, non proattività.
Mi ricordo la parola che mi disse, un giorno, uno dei miei maestri spirituali: “fermati!”.
Non nel senso di smettere di fare, ma smetti di fare le cose senza un senso, per abitudine o per reagire a ciò che non ti piace.
Dentro: L’azione ha valore quando nasce da un centro, non da un’urgenza.
Agire da uno spazio vuoto porta più avanti che correre nel caos.
9. Supera i tuoi limiti
→ Bias: negazione dei limiti (overconfidence bias)
“Superare” spesso diventa sinonimo di negare.
Ma i limiti parlano perciò è bene analizzare se, per abitudine, non tendiamo a sopravvalutare le nostre capacità.
Inoltre dal punto di vista linguistico è meglio utilizzare il verbo “spostare” i limiti perché se pensiamo di superarli il nostro cervello potrebbe metterci i bastoni nelle ruote per paura dell’ignoto che si cela oltre, al di la di essi.
Dentro: Più che superare i limiti, impariamo ad ascoltarli. A capire perché sono lì. A spostarli un po’ alla volta, senza giudicarli. Cerchiamo di capire quali competenze sviluppare per farlo.
10. Leader di te stesso
→ Bias: autocentratura egotica
La leadership interiore non è controllo, ma ascolto.
Di se stessi, degli altri, del campo intorno a noi e delle interazioni con il mondo.
Dentro: Essere leader di sé significa imparare a fidarsi della propria parte più saggia.
Quella che sa aspettare, sentire, cambiare direzione oppure perseverare .
Quella che accoglie e si affida. Prerogative dell’anima più che della personalità.
A volte, è anche la parte che si arrende.
11. Il fallimento non esiste
→ Bias: ristrutturazione forzata della realtà (reframing tossico)
Dire che il fallimento non esiste è come dire che il dolore non fa male.
Il vero fallimento avviene quando sprechiamo una crisi (un fallimento) e ci impediamo di evolvere e di imparare dall’esperienza. Diventando persone migliori.
Dentro: Il fallimento esiste. Ed è utile. Serve. Fa crescere. Non va negato, ma attraversato.
Poi linguisticamente utilizzeremo termini diversi per rappresentarlo, a seconda degli scopi che vogliamo ottenere.
A volte FALLIMENTO è il termine corretto da usare in determinate situazioni.
12. Si diventa ciò che si pensa di essere
→ Bias: determinismo mentale (illusione della sola volontà)
Se fosse vero, basterebbe pensare di essere ricchi o felici. La legge di attrazione, se male interpretata può essere molto pericolosa.
Dentro: Diventiamo quello che viviamo. E viviamo quello che abbiamo integrato. Pensare è solo una parte. Serve sentire, scegliere, amare. E anche comunicare scegliendo con cura le parole.
13. Non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare
→ Bias: chiarezza illusoria (illusione di coerenza)
Sapere dove andare è la parte più difficile della vita.
Dentro: A volte bisogna navigare un po’ senza meta per capire dove porta il vento. Imparare a stare nella bonaccia con pazienza e affidamento può essere utile. La direzione la dobbiamo programmare dettagliatamente comunque e, quando è possibile, sfruttare il vento correndo il rischio di allungare la rotta.
Potremmo scoprire isole inesplorate!
14. Pensa positivo
→ Bias: positività tossica (toxic positivity)
Pensare positivo non basta. E a volte fa danni.
Dentro: C’è un pensiero più utile: quello funzionale. Non nega il negativo, ma lo accoglie. Non racconta favole, ma cerca possibilità reali.
Si chiede:
“Cosa posso fare, adesso, dove sono, con quello che ho?”
Conclusione
Questi slogan un pò scontati, presi singolarmente, possono anche ispirare. Ma nel tempo rischiano di diventare scorciatoie che tagliano fuori il cuore del lavoro interiore. Il punto non è scartarli, ma andare oltre.
Guardare cosa c’è dietro.
Spesso troviamo proprio lì – fuori dal cliché – l’occasione per ri-cominciare davvero.
