Quando ho affrontato il titolo di questo post, ispirato da un esercizio del libro “Storie che incantano” di Andrea Fontana, ho provato un senso di vuoto incredibile. Come se non trovassi risposte. Come se il buio dentro fosse totale e oscurasse l’ispirazione.
E allora ho capito che dovevo scavare. Scrostare la ruggine della disillusione da un cuore per troppo tempo sotto naftalina.
Così, con piacere e uno strano senso di liberazione, ho trovato le mie ragioni.
Le cose per le quali vivo.
Sentire il respiro che dilata i polmoni e allarga il torace anche nelle fredde mattine d’inverno.
Le telefonate di chi ti chiede come stai, alle quali do sempre troppa poca importanza, invece sono oro colato.
Le presenze così diverse e originali di Agnese, Lia e Federico.
Il ricordo di mio padre e di mia madre e il suo curioso tentativo di riemergere ogni giorno di più.
Le estenuanti pedalate in montagna con compagni troppo allenati per me.
Il sapore del caffè, che al mattino si accompagna sempre a una piccola dose di paura.
La risposta misteriosa su cosa ha in serbo per me il mondo del lavoro, con l’ingenua consapevolezza di non aver elaborato, in realtà, alcuna domanda.
L’acqua fresca e il vino buono (…parte metaforica di un detto imparato in Grecia, il cui finale, qui, non è il caso di approfondire).
Aiutare le persone, ed essere grato quando ci riesco.
Lei, con la pazienza di starmi al fianco e la forza straordinaria di chiedere nulla più di quello che sono (Mi piace pensarla così anche se forse… senza saperlo vede cose che io non vedo).
L’idea di libertà, un’ossessione sbiadita col passare del tempo.
L’acqua clorata e i pesci umani che nuotano insieme a me, come se fosse l’unica cosa importante.
La cucina macrobiotica e tutti quelli che fanno le cose perché ci credono.
Una persona che saprà riconoscersi in questa riga.
Il cioccolato fondente all’85% or more.
Il tocco delle mani nei capelli.
Quel pensiero assurdo di strapparsi lo sterno per far uscire tutto l’amore dal cuore.
Mio fratello e la sua famiglia, così diversi eppure così vicini.
Il tempo per leggere, pensare e a volte scrivere.
Ridere (per Stanlio e Olio) e piangere (per una canzone).
L’odore del mare, mia cugina, gli arrivi e le partenze.
I sogni sempre più grandi, in una prospettiva sempre più corta.
Le amicizie di una vita e quelle ancora da scoprire.
Il modellino del Volkswagen Type 2, che sto guardando ora sopra al tavolo.
Le ali spezzate di mia sorella da custodire, in attesa di riconsegnarle, pur sapendo che lei vola col vento.
Tutti i miei maestri, passati presenti e futuri… mentre penso che stiano ballando nudi sotto la pioggia.
La Sacralità presente sulla terra e … i cardi di Nonna Anita.
Ispirazione:
Il lato narrativo del branding € 24,00 |
Quando comprerai il Volkswagen Type 2 quello vero chiamami…
Alla grande… ho saputo che stanno rivisitando vecchi modelli lasciandoli intatti esternamente, ma con motore elettrico… chissà se è vero?
un abbraccio.
https://www.wired.it/gadget/motori/2019/12/03/lo-storico-pulmino-volkswagen-type-2-rinasce-elettrico/?refresh_ce=
ok amico mio
[…] il personaggio interpretato da un magistrale Jeff Bridges, è incredibile e, se esistesse nella realtà, sarebbe degno di essere seguito, come fanno nel film i suoi disadattati […]
[…] Buffa, buffa, buffa e molto bella vita […]