C’è un richiamo che arriva da lontano, un sussurro tra le fronde che vibra nell’anima con la dolce insistenza di un ricordo dimenticato. Da qualche tempo, sento il desiderio di tornare alla natura, di abbandonare le sovrastrutture della società, di immergermi nel verde sconfinato del bosco e lasciarmi avvolgere dalla sua silenziosa, primitiva armonia.
Non è solo un sogno, ma una promessa che faccio a me stesso.
Una fuga? Forse.
Ma anche un ritorno. Il ritorno a un’essenza che sento di aver trascurato troppo a lungo, oppresso da una vita piena di doveri, di corse contro il tempo, di parole che si svuotano di senso.
A risvegliare questo desiderio sopito è stato un dono: un libro, piccolo e potente come un seme che trova la terra giusta in cui attecchire.
“Disobbedienza Civile” di Henry David Thoreau.
Un titolo che risuona come una dichiarazione d’intenti, un monito per chi non si accontenta di esistere in una cornice disegnata da altri.
“Se una pianta non può vivere secondo la propria natura, essa muore e così un uomo.”
Questa frase, letta sulla quarta di copertina, è stata un colpo secco al cuore. Ho sentito l’eco della mia insoddisfazione, un’eco antica che da tempo provo a soffocare con razionalizzazioni e compromessi.
E se fosse vero?
Se il malcelato malessere che avverto non fosse altro che la voce della mia natura che chiede di essere ascoltata?
Thoreau non si è limitato a scrivere. Lui Ha vissuto. Ha sperimentato la solitudine volontaria, la semplicità estrema, l’auto-sufficienza. Ha dimostrato, con l’esempio, che un altro modo di stare al mondo è possibile.
“Walden, Vita nel Bosco” è la sua testimonianza, un altro dei suoi libri che ha acceso il fuoco di intere generazioni di ribelli, di cercatori, di anime insofferenti ai confini imposti.
E allora lo dico ad alta voce, lo scrivo nero su bianco, affinché questa volontà non si perda nelle sabbie mobili dell’abitudine: voglio vivere nel bosco, cercando solo i fatti essenziali della vita, evitando di scoprire, giunto alla morte, di non aver vissuto davvero.
Ma non si tratta solo di fuggire. Si tratta di scegliere. Di scegliere la leggerezza, la libertà, la verità.
Il minimalismo come forma di liberazione
Siamo intrappolati dalle cose che possediamo. Le accumuliamo per paura di perdere qualcosa, senza accorgerci che sono loro a possedere noi. Vestiti mai indossati, oggetti inutili, memorie impolverate che ci appesantiscono come catene invisibili.
Thoreau scriveva che
“penso sia in stallo l’uomo che è passato attraverso un pertugio o un passaggio dove la sua slitta carica di mobili non riesce a seguirlo”
Ecco, io voglio essere leggero. Voglio lasciare indietro ciò che non mi serve, ciò che non parla davvero di me.
Un’esistenza sostenibile
Sostenibile per chi?
Per la Terra, certo, ma anche per l’anima.
Viviamo in un sistema che divora risorse a una velocità folle, prosciugando non solo il pianeta ma anche noi stessi. Lavoriamo senza sosta per comprare cose di cui non abbiamo bisogno, per mantenere ritmi che ci tolgono il respiro.
E se invertissimo la rotta?
Se scegliessimo di avere meno per essere di più?
Il lavoro: vocazione o condanna?
Ci hanno insegnato che il lavoro nobilita l’uomo, che bisogna sacrificarsi, che solo attraverso la fatica si ottiene dignità. Ma Thoreau la pensava diversamente:
“Che guadagnarti da vivere non sia il tuo mestiere, ma il tuo svago. Godi la terra ma non possederla.”
E allora mi chiedo: e se il lavoro fosse altro?
Se fosse creazione, scoperta, sperimentazione?
Se fosse fare con le mani, coltivare con pazienza, costruire con amore?
Non voglio più essere strumento dei miei strumenti. Voglio liberarmi dalle catene della produttività fine a se stessa, dall’ossessione di fare per dimostrare qualcosa a qualcuno. Voglio riscoprire il valore del tempo, il piacere dell’attesa, la bellezza dell’inutile.
Un ritorno al silenzio
Il bosco non urla. Il bosco sussurra.
E noi, immersi in un mondo che strepita, abbiamo disimparato ad ascoltare.
Vivere nel bosco significa anche questo: recuperare il silenzio.
“Il silenzio con i suoi tesori, il silenzio e il suo oro” recita la poesia di Mariangela Gualtieri.
Quello vero, quello che non fa paura, quello che permette di sentire ciò che si agita dentro. Il silenzio è lo spazio in cui l’anima si espande, in cui le domande si fanno chiare, in cui la vita si mostra senza filtri.
La mia dichiarazione d’intenti
Non so se riuscirò a farlo. Non so se troverò il coraggio, il luogo, il momento giusto. Ma so che questa idea non è un capriccio. È un richiamo. Ed è ora di ascoltarlo.
Non voglio più rimandare. Non voglio più trovare scuse. Voglio iniziare. Anche con piccoli passi. Una notte nel bosco. Una settimana senza sprechi. Un angolo di casa trasformato in rifugio di essenzialità.
Voglio spingere all’angolo la vita e ridurla ai minimi termini. Per capire cosa resta. Per scoprire se, nel cuore della foresta, troverò finalmente me stesso.
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