fai ciò che ami

Dal mio osteopata

Steso e mutandato, sopra il lettino tecnologico del mio osteopata, aspetto con trepidazione l’esito del check-up.

Trach-tach-tach!

« Girati dall’altra parte.»

Punto il gomito sul lettino e cambio posizione con movimenti che mi sembrano goffi e ostentatamente agili. In quell’istante faccio considerazioni intime sul mio corpo, troppo robusto e muscolare per ambire a risultati sopra la media tra i triatleti della mia età. Quello che pratico è uno sport che esige corpi snelli e motori cardiaci particolarmente performanti.

In fondo il triathlon per me non rappresenta la sfida della vita come per alcuni compagni di squadra, solo un mezzo per mantenermi in forma e dotarmi di stimoli necessari a svolgere attività fisica in maniera regolare e per lungo tempo.

Il mio obiettivo dal punto di vista motorio è correre, nuotare e pedalare almeno fino a sessantotto anni.

Struch!

«Ti faccio male?»

«No, no! Vai pure, sopporto abbastanza bene il male.»

Le mani forti e istintivamente competenti del mio amico osteopata scivolano, spingono e s’insinuano fra le fasce muscolari con una sicurezza tale che il corpo si abbandona, potendo sopportare qualsiasi dolore immediato in previsione di benefici futuri.

Ho conosciuto L’osteopatia all’incirca trenta anni fa e penso sia un’arte più che una disciplina sanitaria. La struttura del corpo è messa in relazione alla funzione e quindi al movimento nel più ampio senso del termine. Per gli osteopati, e anche per me, il movimento rappresenta l’espressione stessa della vita. E’ attraverso il movimento che il corpo si regola e mette in atto processi di auto guarigione. L’educazione al movimento è anche la parte della mia professione che amo di più.

«In quale direzione ti sta portando la vita?»

Mi chiede il mio amico osteopata fra la contrazione volontaria di qualche muscolo e una mobilizzazione articolare.

Chi lavora quotidianamente con le persone e lo fa entrandoci in contatto fisico tutti i santi giorni con la necessaria dose di amore per ottenere un qualche beneficio per loro, non può esimersi dal conoscere anche i meccanismi mentali attraverso i quali la vita si dipana. Necessariamente acquisisce una certa sensibilità alle domande che contano, evitando gli inutili dialoghi di circostanza nei quali siamo abbondantemente e inutilmente immersi.

E come si fa con le domande importanti, incomincio a pensare.

Penso all’esperienza di questo periodo di Corona Virus e alla situazione distopica che stiamo vivendo. Penso al futuro incerto dei miei figli e la mente mi riporta soprattutto agli insuccessi di questi ultimi tempi: progetti abbandonati, accordi irrealizzati e impossibilità di esprimere in pieno i talenti che credo di avere.

E penso al Piano B al quale ho l’illusione di lavorare e che è frutto della reazione profonda alla deriva che sta prendendo l’attuale modo di vivere della società.  

«Fra dieci anni mi piacerebbe costruire un’altra vita (come cantava Battiato), una vita più semplice a contatto con la natura, immersa nella natura. Vorrei occuparmi solo di cose concrete, ridurre i miei bisogni e dedicarmi a un’essenzialità minimalista senza perdere mai di vista la possibilità di aiutare gli altri.» Rispondo all’osteopata mentre infila gli aghi in punti particolari che scatenano strane scosse elettriche di una dimensione sconosciuta.

Ho anche attribuito un nome a questo progetto. L’ho chiamato la VIA SEMPLICE, ma non lo dico a lui perché non sembra interessato ad approfondire l’argomento.

Il suo scarso interesse alla risposta che il mio ego si era già preparato a snocciolare, inibisce il disco vendita che ho creato su questo bizzarro e un po’ sovversivo progetto.

«Spostati sul fianco sinistro e fletti le gambe.»

Strattoch!

«… ecco fatto! Abbiamo sbloccato anche questa tensione.»  Dice lui sottovoce a se stesso, immerso nel suo flow professionale in cui il corpo dell’altro diventa una tela da dipingere, argilla da modellare più che una macchina da aggiustare.

«Sei sicuro che questa sia la tua strada?» Incalza mentre flette la gamba ruotandola all’esterno per analizzare il movimento dell’anca.

«Se così fosse, ti daresti da fare. Tutte le volte che avessi qualche ora a disposizione andresti in mezzo alla natura, ogni giorno faresti qualcosa nella direzione del tuo nuovo progetto. Ogni santo giorno.»

Crich!  A destra. Croch! A sinistra.

Lui libera altre catene cinetiche ed io taccio essendo appena stato incatenato dal dubbio che si è insinuato nei miei pensieri.

«Ok, abbiamo finito! Ora alzati e fai una camminata.»

Come un Lazzaro dei tempi moderni, in mutande, con meno blocchi fisici e qualche titubanza interiore in più, mi sollevo dal lettino elettrico e sento di avere un corpo nuovo e pieno di vita.

Le tensioni sono magicamente svanite e con loro i dolori, il bacino è sbloccato in tutti i piani dello spazio e i pochi passi che abbozzo sono sinuosi e liberi come non mai.

Il processo di auto guarigione è stato innescato così come la consapevolezza di un nuovo e indispensabile livello di analisi e ricerca per quello che riguarda la mia vita futura.

Vorrei abbracciare il mio amico osteopata con la gratitudine del leone al quale il suo salvatore ha tolto la spina dalla zampa e lui, rivolgendosi alla segretaria, insinua che se fossi una donna mi avrebbe già conquistato.

Pago, saluto e quando esco dallo studio, penso anche che sarei disposto a perderlo come Osteopata (nonostante sia  davvero il migliore che abbia mai sperimentato) per salvare la sua preziosa amicizia e mi sento fortunato a a godere di entrambi i ruoli.

Lui non è il MIO osteopata, in quanto più MIO rispetto a tutti quelli che lo scelgono e lo possono scegliere come professionista. E’ MIO poiché PER ME rappresenta un modello di dedizione, passione e impegno lavorativo che si avvicina al concetto di ikigai:

  • Fai ciò che ami
  • Fai ciò che sai fare bene
  • Fai ciò che serve al mondo
  • Fai ciò per cui gli altri sono disposti a pagare

Ecco! Il mondo ha bisogno di persone che sappiano amare quello che fanno, che siano in grado di fare bene ciò che amano, che si occupino di cose utili all’umanità e per le quali gli altri siano disposti a pagare, a scambiare o a essere in qualche modo concretamente riconoscenti.

«E tu Francesco Perticari, come farai ad applicare questo modello nei tuoi nuovi progetti di vita?» Mi chiedo, ricevendo simultaneamente la risposta dalla mia vocina interiore.

 «Inizia il tuo viaggio, qualsiasi esso sia, e non azzardarti a tornare uguale a come sei partito.»

Rispondo a me stesso camminando leggero verso il futuro.

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Written by
Francesco Perticari

Francesco da vent’anni svolge attività di consulenza e management in aziende della fitness industry, esercita la sua passione di coach nel business e nello sport e, per puro divertimento, pratica Triathlon insieme ai suoi tre figli di 10, 12 e 14 anni.
Entradentro Blog è un progetto personale, una specie di posto in rete nel quale riordinare le idee e ispirarsi. Esiste dal 2009 ma muore almeno due volte per risorgere nel 2020 con nuovi intenti e nuove possibilità future.

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