Viaggio dell'eroe in otto passi - Entradentro Blog

Il viaggio dell’eroe in otto passi

Un’esperienza vissuta diventa il viaggio da eroe, una nuova specie di eroe.

I limiti sono nei pensieri che facciamo

La consapevolezza che i limiti trovino il loro spazio nella mente più che altrove mi aiuta a mantenere alta l’attenzione e la curiosità riguardo agli strumenti in grado di aiutare me stesso e le persone che incontro ad andare verso l’espressione del massimo potenziale.

Fra le risorse efficaci di cui tutti noi disponiamo, ve n’è una che utilizzo per ricercare gli stati migliori:

Il modellamento

Il modellamento è la pratica nella quale ci si associa con tutti i sensi a esperienze nelle quali i nostri comportamenti, o quelli di altre persone, siano stati particolarmente efficaci.

Per predisporre il nostro sistema ad affrontare nuove situazioni vi è spesso la necessità di rifare la valigia con gli indumenti più adatti per il nostro viaggio. In altre parole la necessità di copiare la struttura esperienziale di qualcuno che ha prodotto buoni risultati in situazioni simili.

Quando ho bisogno di accedere a uno stato d’animo appropriato ad affrontare sfide impegnative mi collego con la mente e con i sensi a un’esperienza realmente vissuta nella quale ho dato il meglio e di cui sono particolarmente fiero.

Di solito è un’esperienza intensa, carica di utili apprendimenti e di emozioni forti. E qui voglio condividere con voi una di queste esperienze, sotto forma di viaggio.

Il Viaggio dell’eroe

E’ un modello narrativo introdotto dallo sceneggiatore Christopher Vogler nel suo libro “Il viaggio dell’eroe”. Si basa sulle tappe principali che i racconti eroici di tutti i tempi hanno attraversato. Un percorso schematico e ripetitivo delle fasi basilari che il protagonista del racconto eroico attraversa per completare il suo cammino di consapevolezza verso la propria evoluzione.

E’ un viaggio-metafora nato dagli studi di Joseph Campbell, grande studioso di mitologia e autore del bellissimo best seller “l’eroe dai mille volti”.

Anche io un giorno ho percorso un viaggio nel quale mi sono sentito un eroe

Scenario: Hikkaduwa, Sri Lanka, una splendida spiaggia dove stavo passeggiando per riprendermi da una sfebbrata che mi aveva colpito subito dopo lo scalo all’aeroporto di Colombo.

Il mare era molto mosso, le onde alte più di due metri tenevano lontani i turisti dall’avventurarsi incautamente alla battigia e, al largo, anche di surfisti nemmeno l’ombra.

Durante la camminata m’imbatto in un gruppo di circa quaranta persone fra le quali un’olandese con cui il giorno prima mi ero trovato a fare il bagno in un mare solo leggermente più calmo. I loro occhi pieni di preoccupazione e senso d’impotenza erano fissi sul mare, dove due ragazzi in difficoltà gridavano aiuto, completamente in balia della risacca che li stava trascinando lontano dalla riva.

Sentire la chiamata

Un vero viaggio dell’eroe ha sempre inizio con una chiamata all’azione che ti chiede di essere più di quello che sei sempre stato. E quel giorno a me, la chiamata, è arrivata come uno schiaffo improvviso in grado di risvegliarmi dal pacifico sonno sul comodo guanciale dello status quo.

“Tuffati! Quelli stanno per affogare.”

Il rifiuto della chiamata

“No grazie, fatelo fare a qualcun altro!”.

“Non ci sono i bagnini come a Cesenatico?”

“Io ho appena avuto una febbre da cavallo e poi quelli sono in due io potrei al massimo andare a prenderne uno, chi viene con me?”

“Siete in un mucchio lì a guardare, fate qualcosa, no?”

“E’ vero ho il brevetto di Istruttore di nuoto, Assistente Bagnanti e Maestro di Salvamento ma cosa vuol dire…  Al massimo ho tirato su qualche decina di persone dalle piscine di Atlantica e di Aquazzurra. Qui siamo nell’oceano Indiano è un’altra cosa”.

Queste sono solo alcune delle cose che mi ricordo di aver pensato in quel momento che nella memoria sembra lunghissimo, ma in realtà deve essere volato via in pochi secondi. Tuttavia, quando la chiamata arriva, lo senti che è per te e ci sono solo due cose da fare: ignorarla o…

Varcare la soglia

Che i giochi abbiano inizio. Al di là della zona di comfort c’è un nuovo territorio pieno d’insidie e anche di opportunità, forse straordinarie, ma solo uscendone fuori puoi scoprirle.

Per me poteva essere molto rischioso, difficoltoso, persino fatale. Cercare di salvare qualcuno in mare ti espone al rischio molto alto di andare a fondo con lui. Chi si trova in pericolo di vita si può aggrappare con una forza soprannaturale a qualsiasi cosa si avvicini, per questo ai corsi di salvamento s’insegnano le tecniche di presa per divincolarsi dal pericolante.  Come sempre fra la teoria e la pratica c’è un oceano di distanza. Si chiama esperienza. Io ero senza esperienza come tutti quelli che affrontano nuove sfide.

In quel momento, varcare la soglia ha avuto il significato di prendere contatto con la paura ed entrare insieme a lei nel mondo straordinario dell’ignoto.

Ho avuto paura di morire.

Una paura rafforzata dal comportamento del gruppo che guardava e non si muoveva.

Paura nei respiri lontani dei due ragazzi e dei loro occhi sbarrati dalla disperazione nel cercare aiuto verso la spiaggia.

Se lasciamo che il nostro sistema risponda istintivamente alla paura possiamo ricadere negli schemi ancestrali del bloccarsi, fuggire o attaccare. Schemi a volte utili, altre volte decisamente poco funzionali all’obiettivo, come in quel giorno.

Quando ho varcato la soglia, tuffandomi nelle onde, ho preso miracolosamente contatto con una risorsa, diversa, nuova, della quale ancora oggi sono poco avvezzo all’uso: la calma determinazione. E’ un atteggiamento utile che andrebbe allenato per affrontare la terra desolata.

Questa forma di gentile autorevolezza mi ha assistito. Spronato a tuffarmi nell’acqua senza impeto, ho controllato ogni gesto preservando le mie energie per i momenti in cui avrei dovuto affrontare altri mostri. Mi ha regalato quella lucida presenza con la quale mi sono immerso sul fondo quando arrivava lo schiaffo tremendo dell’onda che mi avrebbe potuto riportare a riva, e la forza sufficiente per nuotare a rana e riemergere, veloce ma calmo, a stile libero verso l’obiettivo. Una due, tre… dieci volte.

Trovare i custodi

L’eroe è dentro ciascuno di noi. E’ sufficiente spolverare nella libreria dei ricordi per trovare persone che ci hanno ispirato o che ci ispirano. A volte i custodi si trovano nei film, nei libri. Altre volte solo in alcuni gesti, simboli o sensazioni in grado di risvegliare la migliore espressione di noi stessi, dandoci l’opportunità di prendere contatto con essa.

Il mio mentore di quel momento è stato il desiderio, celato nel nucleo profondo, di essere una guida affidabile per gli altri. La sensazione associata al ricordo di quel momento assomiglia a un volo cui segue lo stallo che prepara alla picchiata verso il proprio destino.

Affrontare i propri demoni e le proprie ombre.

Il diavolo sa travestirsi. Quando vuole, si nasconde fra le ovvie giustificazioni a essere normali. Ci porta a conformarci al comune buon senso e al preservare noi stessi dal rischio di un cambiamento carico di responsabilità spaventose. E’ un burattino che balla la macabra danza dell’appiattimento mentale e del conformismo e, anche se a volte il ritmo non ci piace, lo accettiamo poiché ci salvaguarda dal fare il primo passo verso un viaggio pericoloso in cui vorremmo essere già alla fine.

Quel giorno il Il mio demone faceva di tutto per impedirmi di trovare il mio paradiso, voleva farmi indossare la maglia numero quarantuno insieme agli inermi spettatori della spiaggia, con tutte le conseguenze che questa scelta avrebbe comportato.

Anche non far nulla è una scelta, spesso con esiti più gravi di un’azione sbagliata.

Ciò che fa di una cosa un demone o un angelo, è la nostra relazione con essa.

Sviluppare un Sé Interiore profondo

Il primo ragazzo in difficoltà me lo trovai davanti all’improvviso e mi resi conto di quanto le situazioni possono bloccarci. Sebbene molto stanco e riuscisse mantenersi a galla era completamente immobilizzato dallo spavento. La semplice presenza di uno che si era spinto volontariamente fino lì, gli fece prendere coraggio. Fu sufficiente trasportarlo di qualche metro e spingerlo con tutta la forza sulla prima onda che lo avrebbe trascinato verso la spiaggia. Non potevo fare altro poiché il mio obiettivo era portarli in salvo entrambi. Se avessi dedicato troppo tempo a lui, la corrente avrebbe allontanato troppo il secondo ragazzo e con tutta probabilità non sarei mai riuscito a raggiungerlo.

Fu in quel momento che mi resi conto di quanto fosse importante conoscere e gestire le proprie dinamiche interiori. Io fino allora, come la maggior parte delle persone, mi ero sempre concentrato sulla tecnica, sulle capacità specialistiche. Vivevo nell’illusione di non essere mai abbastanza pronto invece, affrontare le sfide, è per la maggior parte una questione di cuore, non di tecnica.

Porre attenzione al Sé Interiore significa esplorare le nostre emozioni. Aumentare la consapevolezza su chi vogliamo essere per ottenere quello che desideriamo, cogliendo intimamente la relazione fra noi e il mondo.

La trasformazione

Fu nel tratto di mare che mi separava dal secondo ragazzo in difficoltà che mi venne in mente la frase del maestro zen D.T. Suzuki.

L’uomo è un essere debole che pensa, ma realizza le sue opere più grandi quando non calcola e non pensa.

Tutto quello che stavo facendo, sembrava logico, razionale per alcuni aspetti e notevolmente avventato da altri punti di vista. Tuttavia io ero conscio della naturale sequenza di gesti, azioni e pensieri guidati da una mente quieta. Stavo semplicemente facendo quello che dovevo fare, completamente concentrato sul momento presente senza giudizi, senza distrazioni.

Con il minimo di tecnica e il pieno di energia, creatività e determinazione si mette in atto la trasformazione. L’uomo si spoglia completamente dei propri limiti, trova il potere del momento presente e diventa Eroe.

Giunto davanti al secondo ragazzo, lo guardai negli occhi e, solo quando vidi che la sua paura non si era ancora trasformata in cieco istinto di sopravvivenza, cercai di sorreggerlo. Qualche stentata e affannosa frase in inglese, l’appoggio delle sue mani sulle spalle e, con addosso una nuova conoscenza, mi preparai per …

Il ritorno a casa

Nel mio caso il ritorno a casa era abbastanza scontato, ma nel vero viaggio dell’eroe esiste la possibilità del rifiuto. Un doppio rifiuto: quello del villaggio che potrebbe non voler accettare una trasformazione come simbolo della necessità di assumersi la responsabilità del proprio cammino da parte di chi è rimasto a casa. E quello dell’eroe per il quale potrebbe essere meno doloroso stare nella terra del cambiamento piuttosto di ritrovare le immagini perdute dei mostri dai quali era fuggito.

 L’amore della gente per gli eroi corre su un binario incerto il cui scambio, al minimo segnale, può portare all’odio. La trasformazione è contagiosa e non tutti sono disposti ad accettarla, ecco perché il ritorno dell’eroe al proprio villaggio può diventare un altro atto di eroismo inatteso.

Il mio ritorno a casa fu facile. L’olandese con cui avevo nuotato il giorno prima mi strinse la mano pieno di entusiasmo gridando: “Wonderfull“; i due ragazzi mi abbracciarono forte con lacrime di sincera gratitudine e i quaranta della spiaggia mi guardavano con ammirazione mentre mi allontanavo sulla spiaggia sapendo che non ero più lo stesso di prima.

In fondo un eroe è solo un uomo che ha affrontato l’inferno e ne uscito vivo portando con sé solo un po’ di speranza.

Sorrisi a me stesso e guardai il mare con altri occhi.

Il primo compito dell’eroe è quello di abbandonare il mondo degli effetti secondari e ritirarsi nelle zone causali della psiche dove risiedono le difficoltà e qui risolvere quelle difficoltà, sradicarle (cioè dar battaglia ai demoni infantili della sua civiltà) e passare trionfante alla diretta esperienza e all’assimilazione di quelle che Jung ha definito “le immagini archetipe”. E’ questo il processo che la filosofia indù e buddhista chiama viveka, “discriminazione” – Joseph Campbell – L’eroe dai mille volti – pag 27

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Written by
Francesco Perticari

Francesco da vent’anni svolge attività di consulenza e management in aziende della fitness industry, esercita la sua passione di coach nel business e nello sport e, per puro divertimento, pratica Triathlon insieme ai suoi tre figli di 10, 12 e 14 anni.
Entradentro Blog è un progetto personale, una specie di posto in rete nel quale riordinare le idee e ispirarsi. Esiste dal 2009 ma muore almeno due volte per risorgere nel 2020 con nuovi intenti e nuove possibilità future.

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